Streghe e colori. Intervista a Chiara Tagliaferri

Il suo primo romanzo sgorga da un sogno e mescola realtà e finzione, denaro e potere. L’amore è il grande assente ma anche il motore che spinge la protagonista a una disperata ricerca di senso. L’intervista di Patrizia Ruscio

“Un drammaturgo che amo molto, Tennessee Williams, diceva che la crudeltà deliberata è imperdonabile” racconta Chiara Tagliaferri coautrice con Michela Murgia di “Morgana” oggi al suo esordio nella narrativa con un romanzo che è un misto di verità e finzione. “Strega comanda colore” (Mondadori) è ambientato nella provincia della Bassa Padana e ruota intorno alla figura di una nonna priva di scrupoli che tiene in ostaggio una famiglia tramite ricatti psicologici e umiliazioni. “Questa donna è portatrice sana di crudeltà – prosegue – fa letteralmente a pezzi le persone che la circondano.” Con l’autrice abbiamo parlato di letteratura, di famiglie disfunzionali, di sogni e di moda, una sua grande passione che le dà la possibilità di esprimersi. Perché, in fondo, indossare un abito è come vestirsi di sogni. Una caratteristica di Strega comanda colore è la sua struttura emotiva, quasi una sequenza di immagini. Qual è stata la prima ad accendere la fantasia? “Esattamente quella che descrivo nel prologo del libro, un sogno che la protagonista fa da bambina. E’ un’immagine simile a qualcosa che ti afferra e ti trascina in un gorgo di ricordi. Lei è un corpo senza organi, una donna completamente priva di linguaggio emotivo che per ricostruirsi deve tornare indietro nel tempo”. A proposito di immagini, la ragazza ritratta in copertina le somiglia. “L’autrice è Helene Delmaire, una pittrice che amo molto e che disegna giovani ragazze con i volti sempre celati: è come se i loro occhi, le loro bocche soffocassero sotto a dei grandi fiori, o venissero travolti da un getto di colori. Anche il quadro che ho scelto per la copertina mostra un’adolescente con la vista oscurata da un vortice policromico. Mi è sembrata un’immagine perfettamente adatta al titolo”. Nel sogno la protagonista incontra la figura più conflittuale del romanzo, una nonna crudelissima. “E’ una donna ricca che tiene in scacco la famiglia tramite un ricatto economico. E’ anche una donna molto crudele, incapace di provare amore, con la nebbia al posto del cuore. Riconosce solo il suono
dei soldi: il denaro per lei è potere, e il potere è controllo. La giovane protagonista tenta di spezzare questa malìa e riscattare, per amore, i suoi genitori, che vengono continuamente umiliati e mortificati da questa donna feroce”.
Il romanzo è ambientato per la prima parte nella sua città, Piacenza, dove la nebbia c’è per davvero. “Quando torno a Piacenza e vedo la nebbia mi commuovo. Da noi viene chiamata anche “il mal bianco”: è come una patina lattiginosa che si deposita sulle piante e, per uno strano sortilegio, sembra essersi depositata anche nell’anima di questa nonna così feroce malvagia”. C’è una vena di humour nero che pervade il racconto, come il passaggio in cui la protagonista prova a infliggere il colpo di grazia alla nonna diabetica con un cannolo alla panna. Potremmo dire che prova a ucciderla con un ossimoro? “Quando la protagonista ha cinque anni, dice alla madre: “Quando la nonna morirà, ballerò sulla sua tomba con delle scarpe rosse”. E’ tutta la vita che si prepara a un duello con questa strega che comanda letteralmente i colori e le vite delle persone a lei vicine. A un certo punto, questa donna così coriacea si ammala di diabete, e diciamo che lei contribuirà a non farla stare benissimo”. Nel libro si parla del fratello della protagonista, morto da bambino, quando lei non era ancora nata. Come vive questa assenza la protagonista? “Questo libro è pieno di assenze, di fantasmi, di spirti evocati attraverso sedute spiritiche, e c’è una
madre – amatissima dalla protagonista – che tratta allo stesso modo i vivi e i morti. Il fratello che non ha mai conosciuto per lei è un angelo di gesso, quello raffigurato sulla piccola lapide del cimitero”.
Le donne della sua famiglia somigliano ai personaggi? “Elena Ferrante dice sempre che la finzione letteraria è il luogo migliore per raccontare la verità, e io sono d’accordo con lei. Ho una sorella che, come la sorella del libro, si chiama Sara, e le è accaduto tutto quello che accade al personaggio. E ho una madre che, come la madre descritta nel libro, è la
regina dei funerali: il suo hobby è quello di partecipare a tutti i funerali della parrocchia”.
E’ un aneddoto divertente.
“A modo suo sì. Io la chiamo la mia “tripadvisor dei funerali”. Nella nostra parrocchia c’è un tasso di mortalità che nemmeno a Cabot Cove, la cittadina di Jessica Fletcher: lei in media partecipa a tre funerali a settimana, ci sentiamo tutte le sere e mi fa la sua recensione. E’ il suo modo di esorcizzare la morte”. Chiara ama i colori e gli abiti. Che valore attribuisce alla moda? “Gli abiti sono un travestimento, un sogno, un segno e una promessa. Sono una via di fuga e rappresentano la possibilità di essere tutto quello che un’infanzia deprivata di amore e possibilità economiche le ha negato. Si definisce la Robin Hood di Piacenza, ruba ai ricchi per dare a sé. Pensa di essere in credito con la vita: vuole riprendersi tutto quello che le è mancato, anche fidanzandosi con uomini vergognosamente ricchi, sfilando loro anello dopo anello. Sembra spietata, ma in realtà è solo affamata d’amore e insofferente verso la provincia, un mondo che può radere al suolo i sogni”. “Tu saresti la ragazza vestita di Valentino?”. In un post ha raccontato di essere stata criticata da una scrittrice per il suo modo di vestire. Quanto dispiacciono certe affermazioni, specie se a farle è una donna? “Fa male indistintamente che arrivino da una donna o da un uomo, perché i pregiudizi creano dei
giudizi. Probabilmente voleva collocarmi in una casella dove non avrei invaso il suo territorio di intellettuale riconosciuta. Mi sono resa conto che stare dentro un cliché non è difficile, la cosa difficile è uscire da quel cliché, e io sono fiera di indossare abiti di Valentino o dei mercatini dell’usato e rivendicare la mia unicità anche attraverso i vestiti.
A un certo punto la protagonista incontra Nicola. In cosa riesce quest’uomo dove gli altri hanno fallito? “Lei ha paura a donarsi e pensa che nessuno potrebbe amarla. Quest’uomo, invece, riesce a vedere in lei qualcosa di molto fragile, ma anche di molto puro. E’ una specie di dottor Frankestein, convinto di poter riparare le cose rotte, e di imprimere nuova vita alle persone”.

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