Incontri speciali: Alessandro Porro

Per iniziare la rubrica dal titolo Incontri pubblicata su QE-MAGAZINE, Silvia Giordanino ha intervistato nel novembre del 2018 Alessandro Porro, soccorritore per SOS Mediterranée, organizzazione franco-tedesca che ha l’obiettivo di aiutare e salvare gli immigrati provenienti dall’Africa che tentano di attraversare il Mar Mediterraneo. Riproponiamo qui l’articolo…

Alessandro, raccontaci la tua formazione. “Ho 38 anni, mi sono laureato in scienze umanistiche e discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo al DAMS multimediale dell’Università di Torino per poi fare per ben 13 anni il webmaster freelance. Parallelamente, appena diventato maggiorenne, entrai in Croce Rossa ad Asti, la mia città, dove si faceva emergenza sanitaria. Poi mi spostai, con lo stesso ruolo, a Perugia e Firenze negli ultimi 10 anni soprattutto in provincia. In Croce Rossa non ero addestrato solo per l’emergenza, ma da più di 5 anni ero parte di una squadra per soccorso in acqua in caso di alluvioni, mal tempo, ma anche manifestazioni ed eventi sportivi: questo gruppo si chiama OPSA”. Quindi è da qui che parte la tua vocazione umanitaria per il soccorso in acqua? “Sì, è così. Era il 2016-2017 e nel Mar Mediterraneo c’era una media di circa 10 morti al giorno, guardando le statistiche, 3000 morti all’anno e questa cosa mi fece decidere che la sfida era lì e che il mio interesse doveva essere non stare a fare soccorso singolo, ma piuttosto un soccorso complesso ed organizzato. Ecco avrei dovuto trovare la concezione più adatta della organizzazione dei possibili soccorsi”.


Come arrivi al tuo ruolo di soccorritore per SOS Mediterranée? “Dopo quasi 20 anni di Croce Rossa come volontario e l’ultimo anno come dipendente, arrivai a SOS Mediterranée facendo quattro missioni ed essendo presente durante i fatti di Valencia dove chiusero i porti e dove noi andammo in 600. Mi trovai la guardia costiera libica di fronte e mi toccò recuperare cadaveri sia in acqua che sui gommoni. Fu un’esperienza umana drammatica: ma riuscii anche a rianimare persone e conobbi storie. Ora sono diventato anche una sorta di portavoce, testimoniando e raccontando quello che succede nel Mare, soprattutto ora che la nave Acquarius è ferma ( era settembre 2018, n.d.r.) a Marsiglia perché la nostra bandiera, allora panamense, ci ha cancellato dai suoi registri su pressione del governo italiano. Quindi, in questo momento, non possiamo navigare e la situazione è senza uscita, mentre il Mediterraneo continua ad essere la frontiera più mortale del mondo perché non ci sono navi di soccorso per un motivo o per l’altro…sono sequestrate, ferme, senza bandiera, bloccate in modo pretestuoso e noi, come tanti altri, siamo fermi.” Qual è l’evento umano che ti ha colpito di più? “Mi resi subito conto che l’avventura in cui mi ero buttato non era solo “umanitaria” ma umana. Si ha a che fare con 100, 200, 500, 800 persone contemporaneamente…La primissima persona che fu soccorsa quando io ero in missione con l’Acquarius è stata una donna che aveva partorito su di un gommone: aveva ancora il bambino attaccato al cordone ombelicale e alla placenta. Si poteva solo immaginare in che condizioni si trovava quella povera ragazza e non c’era neanche lo spazio fisico, materiale, per soccorrerla adeguatamente. Chiudo con il titolo evocativo di un famoso libro di Primo Levi ‘Se questo è un Uomo’…”

QE MAGAZINE 2020 #25

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