Virtuale e’ una parola superata.

Da molto tempo sento usare l’aggettivo “virtuale” associato alle realtà della comunicazione moderna. Si inizio’, credo, nel 1982 dopo l’uscita del film Tron. Fu un successo mondiale e fu anche il primo film a introdurre il concetto di realtà’ virtuale.

Da quel lontano 1982 il termine “virtuale” e’ stato assorbito dall’immaginario collettivo e successivamente utilizzato applicandolo alla rete internet. Succede continuamente su testate giornalistiche, su servizi tv e documentari.

Nel frattempo le tecnologie sono cambiate e l’accelerazione impressa allo sviluppo di software e hardware e’ in continua crescita, ma l’aggettivo virtuale continua imperterrito ad essere utilizzato ogni qualvolta un comunicatore scarsamente informatizzato si avventura nella stesura di un articolo. Se all’inizio forse era trendy e stupiva qualche casalinga, oggi il termine virtuale, soprattutto se associato al mondo dei social network e di Facebook, fa sorridere.

“la sua bacheca virtuale”, “..succede nel mondo virtuale di Facebook”, “..la virtualità’ delle chat”, sono alcuni esempi di come in modo becero e falsamente sensazionalista troppo spesso i media parlano delle comunicazioni tra umani attraverso internet.

Secondo questa sbagliata logica anche una telefonata col cellulare potrebbe essere definita una conversazione virtuale, visto che le due persone non sono nella medesima stanza e parlano attraverso uno strumento tecnologico. Anche gli avvisi di Equitalia sono creati usando un computer come quello di Tron (ma più’ malvagio) e persino la televisione potrebbe rientrare nel novero degli strumenti per la realtà virtuale, ma a nessun passerebbe per la testa di affermarlo. Le multe che vengono contestate attraverso il sistema Tutor, che identifica la nostra targa, la confronta con i dati della motorizzazione e fa una valutazione della nostra velocità media da punto A a punto B sono forse virtuali? Eppure in tutto il processo, a parte il conducente ignaro, non c’e’ nessun umano coinvolto perché fanno tutto i computer.

Le comunicazioni digitali tra le persone sono quanto di meno virtuale esista. Dietro a ogni profilo Facebook, a ogni account Twitter, a ogni messaggio in chat ci sono persone che respirano, si arrabbiano, si appassionano, soffrono e godono. Parlare di virtuale in questi casi significa depotenziare e sottovalutare con leggerezza la comunicazione fatta con la parola e con la volontà molto umana e terrena di socialità che e’ radicatissima nell’uomo e che inizio’ con le scene di caccia disegnate da un nostro avo all’interno di una caverna.

Tornando alla definizione di virtuale, ovvero: simulato, non reale credo che non si debba mai confondere una certa superficialità alla quale ci hanno abituato i social e la relativa messa in scena legata all’effetto “Big Brother” insita nell’esposizione continua, con il concetto di virtuale. Perché anche nella rappresentazione pubblica del nostro mondo, della nostra proiezione di noi, o di come vorremmo farci percepire, si cela la meno virtuale delle realtà, ovvero: la nostra debolezze e la nostra vanità.

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