Ladies and Gentlemen, vi presentiamo…la signora del noir
A più di dieci anni dal suo precedente film, Let’s Dance, torna la regista Cinzia Bomoll con un film ambientato in una distesa emiliana, arida e desolata come un deserto, e un giallo che racconta la prima indagine dell’ispettrice Nives Bonora. Ce ne parla Patrizia Ruscio in un’intervista esclusiva per QE-MAGAZINE
Il noir ha un accento emiliano e due occhi azzurri che di più non si può, come quelli di Cinzia Bomoll, che dopo dieci anni torna alla regia con “La California”, un film noir scritto a sei mani con Piera degli Esposti e Christian Poli. Quegli occhi penetranti, che arrivano fin nei meandri più scuri dell’animo umano, li ritroviamo nei personaggi, un cast ben assortito di attori e musicisti: Silvia e Giulia Provvedi, meglio note come Le Donatella, Lodo Guenzi, Eleonora Giovanardi, Andrea Roncato e un cameo della cantante Nina Zilli, per la prima volta sul grande schermo. La vicenda si svolge in una piccola comunità di una provincia emiliana con un nome che sembra una promessa di felicità: La California. In quella piatta distesa di terra dove non succede mai nulla, viene ritrovato il cadavere di una ragazza. Tutti pensano a un suicidi, ma la tenacia della sorella gemella troverà nella solidarietà dei paesani, gente che ha combattuto durante la Resistenza, la chiave per scoprire e giustiziare il colpevole. Artista dalla personalità decisamente eclettica, Cinzia è anche l’autrice di “La ragazza che non c’era” (Ponte alle Grazie) un thriller che racconta la prima indagine di Nives Bonora, ispettrice coraggiosa e passionale che indaga sulla morte di una ragazza, apparentemente per overdose. Intervista…
Come nasce l’idea?
L’idea mi è venuta quando sono tornata in Emilia, dopo aver trascorso molti anni a Roma. Ho pensato di ambientare un film nelle mie terre d’origine cercando, però, di coglierne aspetti ancora sconosciuti.
La California: terra promessa o periferia dell’anima?
Volevo raccontare cosa avviene nella vita di provincia. Se è vero che le province si somigliano, volevo scegliere un territorio che le rappresentasse tutte, e la scelta è caduta sulla California, un’enorme distesa schiacciata tra cielo e terra in provincia di Modena.
In California, precisamente nel deserto del Moyave, lei ci ha vissuto veramente. Ci sono più similitudini o differenze?
California è un modo per identificare le zone distanti dalle grandi città e probabilmente è stato utilizzato lo stesso termine per identificare due aree che hanno la stessa matrice. Non c’è la differenza che ci si aspetterebbe tra la provincia italiana e quella americana, proprio perché le province si somigliano tutte. Ho trovato molte similitudini, addirittura estetiche con la California del film. Quando vivevo lì mi sembrava di stare dalle mie parti in provincia di Bologna.
Gran parte degli interpreti sono musicisti. C’è Nina Zilli alla prima esperienza da attrice, c’è Lodo Guenzi che fa l’attore tanto quanto il cantante se non di più, e poi ci Giulia e Silvia Provvedi che sono personaggi televisivi. Come mai?
Volevo sentirmi libera di scegliere chi volevo e amo mischiare le forme d’arte. In Emilia tutti suonano e cantano ed era facile imbattersi in persone che sanno anche cantare e francamente non ho mai visto tutto questo divario fra cinema e musica, anzi. Il mio è un film molto musicale e mi sono presa la libertà di uscire dai cliché.
Come Fellini, che sceglieva gli attori tra le persone comuni…
Scelgo in base alla fisicità, dei personaggi, e poi li inserisce nel film al di là di ciò che fanno nella vita. Nel film ci sono persone che fanno tutt’altro però qua fanno dei figuranti speciali, attori, ecc. Mi innamoro delle facce dei personaggi. Nina Zilli ne è un esempio. Mi piaceva l’idea di vederla recitare in un dove non canta ma valorizza la sua presenza scenica.
La voce narrante e di Piera Degli Esposti che è anche co-sceneggiatrice. Che ricordo ha di lei?
Ho dei ricordi bellissimi di quando abitavamo a Roma e d’estate andavamo insieme al Gianicolo a ripararci dal caldo torrido. Ci fermavamo su quell’enorme balconata e rimanevamo lì a goderci il panorama di Roma e a chiacchierare. Piera era una persona molto umana e libera, con cui si riusciva a parlare di tutto senza giudizi e pregiudizi, perché aveva un’apertura mentale meravigliosa per la sua età.
Uno dei temi portanti del tuo film è il sogno. Sognare di andar via e ricominciare altrove.
Le province si somigliano anche in questo, nel desiderio di evadere che ha chi ci vive. In questo caso sono le gemelle protagoniste del film (le Donatella) a desiderare una vita diversa. Io stessa se non avessi vissuto a Roma non avrei potuto fare il mio mestiere. È vero che la città spesso dà molti più stimoli e possibilità.
Lei ce l’ha fatta. Come?
Restare agganciati a una regione e a uno stile di vita è un alibi per non cambiare. Ci vuole poco a spostarsi, anche economicamente, basta avere il coraggio e aprire la mente alla novità. Io ho capito che se fossi rimasta dov’ero non avrei mai fatto ciò che desideravo, così sono partita per Roma dove ho studiato e ho anche conosciuto persone che mi hanno aiutata a diventare ciò che sono. Poi nella mia provincia ci sono tornata, ma con una mentalità completamente diversa.
Chi è Nives Bonora, la protagonista di “La ragazza che non c’era”. Cosa avete in comune? Per esprimere il suo dolore Nives scrive poesie. Da dove viene l’ispirazione? Cosa ama fare nel tempo libero?
Viaggiare, sempre. Traggo molta ispirazione dai viaggi. Non potrei mai star ferma per molto tempo nello stesso posto.
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