Maria Rebecca Ballestra: la sublimazione del dolore oltre la vita…

Stroncata da un brutto male, contro cui ha provato a combattere per anni, Maria Rebecca Ballestra, dopo un brillante percorso professionale valorizzato attraverso l’attività in nome proprio svolto nel Principato di Monaco, si è arresa a 46 anni il 9 agosto, in mattinata, lo stesso giorno in cui, ironia della sorte, ci lasciava anche Franca Valeri. La notizia è corsa veloce, tra telefonate e post pubblicati dal suo profilo personale su Facebook. Ricordiamo il suo percorso in questo breve articolo.

Avevo incontrato Rebecca quando, nell’estate del 2007, l’antiquario Cesare Lampronti decise di esporre le sue opere d’arte all’Hotel de Paris. Lei era stata incaricata di presidiare la sala esposizione mentre, nella vita quotidiana, si occupava d’altro. Credo che prima di dedicarsi al 100% alla sua passione, l’arte, Rebecca abbia voluto esplorare un po’ l’ambiente del lavoro passando da esperienze in cui provava comunque a coniugare la sua vena creativa a quella più concreta, legata al lavoro di concetto: assistente commerciale, organizzazione di esposizioni, interprete fino ad essere aiuto tecnico in spettacoli diversi. Tutto questo l’ha condotta alla realizzazione del suo primo, vero e appassionato progetto ideato nel 2011. Risale infatti a quell’anno l’email in cui mi spiegava come avrebbe voluto coniugare l’arte e la scienza, ispirandosi al Manifesto di Arenzano per i diritti dell’Uomo e della Terra.

Da allora l’esperienza nata dai suoi viaggi, durati circa un anno e mezzo, in varie parti del mondo, l’ha portata ad esporre alla Biennale di Venezia del 2013. Da lì è stato un continuo concatenarsi di eventi di successo, organizzati anche a Monaco: esposizioni, installazioni temporanee e conferenze. Poi il tanto atteso successo personale si corona con il progetto Journey into Fragility dandole la forza come artista impegnata nel descrivere ed interpretare il mondo che la circondava. La passione di voler andare sempre più lontano, le ha permesso di coinvolgere personalità del mondo istituzionale e scientifico, fino al debutto del primo Festival per la Terra, una sorta di forum internazionale sulle tematiche ambientali che dal 2016 ha cercato di portare alla ribalta le varie visioni sostenibili a favore della protezione del nostro Pianeta. Il format era complesso, molto, e forse a posteriore potremmo dire anche troppo ricco di spunti pur anticipando problematiche di cui il semplice spettatore non sempre ne percepiva la gravità o l’imminenza. Poi la malattia. E’ qui che la nostra artista e donna coraggiosa si è spinta oltre i suoi limiti perché non si è arresa, ha combattuto e cercato di fare di questa sua battaglia un momento di condivisione e di riflessione immaginando un progetto complesso su cui stava lavorando recentemente. Come indicato in un post su Facebook datato 13 luglio, scritto di suo pugno, Rebecca annunciava la creazione di “un nuovo video d’arte sul tema della sofferenza e della cura. “Il video vuole investigare -diceva – il binomio sofferenza-cura come esperienze trasformative radicali, e vuole farlo utilizzando la pratica artista come elemento catartico che attraverso l’uso del corpo porta alla cura dell’anima e viceversa. L’arte attraverso la sua azione simbolico-sciamanico, che opera attraverso un’azione pratica diventa un atto simbolico individuale e collettivo, un rituale che dall’individuo si allarga alla collettività“. L’obbiettivo era, sottolineava, di “investigare il tema ‘sofferenza-cura’ da una prospettiva non individuale ma concettuale e filosofica, partendo da una struttura centrale di interviste a un artista e le riprese di 5 artisti performativi e i testi di contributi raccolti dall’artista da decine di persone sui due temi, adattati da un drammaturgo“. Chi l’avrebbe mai immaginato che colei che promuoveva la sublimazione del dolore ne è stata sopraffatta fino al debutto di un altro viaggio, quello da cui non si fa più ritorno…Ciao Rebecca!

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